APPROFONDIMENTO CRITICO
La raccolta delle patate è fra le opere di Ciolina che, con Il filo spezzato, L’ombrellino rosso, La lavandaia, Mestizia Crepuscolare e Il ritorno dall’Alpe ha goduto di larga notorietà, grazie anche al fatto di essere conservato presso i Musei Civici Gian Giacomo Galletti di Domodossola.
Le dimensioni cospicue, tuttavia non paragonabili a quelle di Il ritorno dall’Alpe, hanno consentito al maestro di costruire una scena monumentale che abbraccia gran parte di Toceno e l’alta valle del Melezzo orientale dominata dalla Scheggia. La nitida luce di un tardo pomeriggio autunnale delinea con un nitore quasi innaturale il paesaggio, tracciando poche, incisive e lunghe ombre sui prati di un verde smeraldino, sul quale risaltano i rossi della terra e i bruni delle chiome dei pochi alberi.
La costruzione della scena è sapiente e calibrata: la massa scura a sinistra del monte Mater, arrossata dalle prime foglie autunnali e lumeggiata sulle cime da immacolate chiazze di neve, si contrappone al gruppo delle tre donne con la gerla adagiata in basso a destra, definendo una linea obliqua che il gesto della donna in piedi, mentre si asciuga la fronte madida, sottolinea ed evidenzia. A questa dominante diagonale si contrappone l’orizzontalità delle rosse masse di terra in primo e secondo piano, il distendersi leggermente inclinato delle case di Toceno, quasi un palcoscenico alla bianca massa innevata della Scheggia, ed infine le linee piane dei cirri giallastri e rosati nel cielo indaco. Il tutto conferisce un senso di grandiosa pace, di dilatazione dello spirito alla scena nella quale le tre donne appaiono compiere un gesto naturalmente antico e perfettamente integrato.
La scena, ovviamente dipinta in studio, si basa su una fotografia scattata dall’amico Carlo Fornara nella quale compaiono due delle tre figure del quadro, evidentemente messe in posa, ossia la donna in piedi e quella china sul terreno dietro di essa. La fotografia però venne scattata a Prestinone, ove l’apertura del paesaggio di sfondo è quella del quadro di Ciolina e non quella che si vede da Toceno. Giovanni Battista impiega qui lo stesso metodo di Fornara, ossia quello di comporre e variare una serie di elementi reali in un insieme nuovo: evidente per esempio nel gesto della donna in piedi, nella foto compiuto col braccio sinistro, nel quadro con quello destro. I due amici non erano nuovi all’impiego della fotografia nella composizione dei paesaggi: Fornara vi fece ampiamente ricorso, e per Ciolina era finora documentato soprattutto per Il ritorno dall’Alpe. La datazione, indicata dal figlio Paolo e per nulla condivisibile, al 1934 di La raccolta delle patate cozza col fatto che da anni Ciolina possedeva un apparecchio fotografico e quindi non avrebbe avuto necessità di ricorrere a Fornara, col quale peraltro i rapporti di amicizia si erano rotti da oltre due decenni e si sarebbero riallacciati solo poco prima della morte di Giovanni Battista. Risulta quindi difficile credere che il maestro reimpiegasse una fotografia scattata molti anni prima dall’ex amico con l’evidente intento di verificare una precisa idea per un quadro, ossia quella di comporre una scena monumentale ed animata con figure che, tra l’altro, richiamano quelle del pittore abruzzese Francesco Paolo Michetti, col quale Fornara e Ciolina ebbero rapporti diretti nell’ultimo decennio dell’Ottocento. Oltre a ciò va sottolineato come la tecnica esecutiva del quadro sia a pennellate definite, seppur minute, che nulla hanno a che vedere con quella impiegata in Il ritorno dall’Alpe (che è invece datato al 1920), specie nel cielo. E soprattutto una tecnica che poco ha a che spartire con la modalità costruttiva della pennellata tipica di molte delle opere di Ciolina tanto degli anni ’40 e ’50 quanto precedenti, quali Toceno al tramonto (tappa 4). Una datazione al primo decennio del Novecento sarebbe forse più pertinente.
Completamente diversa appare la tecnica pittorica di Primavera in Valle Vigezzo, pure del 1920, rispetto a quella de La raccolta delle patate. Non occorre essere degli specialisti per rilevare come Primavera in Valle Vigezzo sia costruito con un fitto tessuto di ‘pagliuzze’ di colore, di pennellate minutissime che diventano un po’ più corpose solo nella massa dei monti In Brun e Gridone sullo sfondo. Una stesura che spesso ha indotto a includere Ciolina nel gruppo dei divisionisti, anche se il maestro raramente accostò colori primari sulle sue tele, requisito questo fondamentale perché la tecnica sia effettivamente divisionista.
Certo è che in questo lavoro il principio della fusione ottica del colore (alla giusta distanza) e della vibrazione della luce sono evidentissimi, e sono chiaramente ispirati a quanto i maestri divisionisti facevano, in particolare Angelo Morbelli (che non a caso voleva includere Ciolina, assieme a Fornara, nel gruppo). Va aggiunto che in Primavera il vangatore ricorda in modo singolare, per l’abbigliamento e la posa, alcune delle fotografie scattate da Fornara e da lui reimpiegate ne I vangatori; in più, la figura e l’atto della madre con la culla trovano riscontro in almeno due opere di primo Novecento del maestro di Prestinone, ossia Vita nuova (1900) e Ottobre sui monti (1905).
Naturale dedurne che il quadro di Ciolina appartenga al periodo in cui egli si accostò maggiormente al gruppo divisionista e quindi vada ampiamente retrodatato, alla fine dell’Ottocento o ai primi anni del ‘900.
Ricerca e adattamento testi e immagini a cura di Chiara Besana.
Approfondimento critico a cura di Paolo Volorio.