6 - Dalla piazza della chiesa

È una bellissima mattina, superba mattina; feci un piccolo giro sulla piazza della Chiesa che si faceva sentire un’auretta fine e fresca, una vera giornata di Maggio, allegra, che consola e rialza alquanto il morale. (…) Alla mattina, persino i sentimenti hanno qualche poco della freschezza e di quella limpidità, che si riscontra negli ambienti mattinali con i suoi cieli tersi e luminosi, colle sue verdure superbe lavate dalla rugiada. (…) Solo nelle limpide giornate si prova piacere, alzandosi ancora molto tempo prima che si alzi il sole. Allora pare che la notte abbia steso uno strato olezzante di profumi freschi sul verde dei prati, dei campi, delle piante; gli uccelli sono più festanti, l’aria è tersa, pura, alletta e vivifica. Basta uno sguardo alla campagna rinfrescata dalla rugiada, al cielo di cristallo, un’ondata di quell’aria che vi attraversa, che vi filtra il corpo, per sentir rinascere il corpo e lo spirito.

Maggio 1897. Diari di Giovanni Battista Ciolina. Trascrizione di Paolo Ciolina

APPROFONDIMENTO CRITICO
Nella poetica della luce estrema, che costituisce uno dei filoni più originali dell’opera di Giovanni Battista Ciolina, Crepuscolo sul Monte Rosa dalla piazza di Toceno rappresenta un esito di eccelsa qualità: certamente per la straordinaria capacità di restituire nella pienezza della sua suggestione il momento forse più fugace nell’arco dell’intera giornata, ma anche per le soluzioni tecniche che vi vengono adottate.

Il soggetto reale, a oltre un secolo di distanza immutato, se non per la crescita degli alberi, è risolto con una inquadratura che riscatta la banale staticità per mezzo del netto taglio diagonale del parapetto e del terreno, tracciati con larghissime pennellate in modo apparentemente trascurato. Giovanni Battista costruisce la scena, com’è sua abitudine, per piani: sul fondo quello delle montagne dell’alta valle Bognanco, quindi le balze della bassa Valle Vigezzo occidentale, il costone del Pizzo Ragno a sinistra, poi lo scuro rilievo su cui sorge Buttogno, quindi il parapetto del belvedere ed infine il fondo della strada. Fin qui tutto bene, non fosse che strada e parapetto si frazionano in ulteriori elementi: il triangolo verdastro in primissimo piano, inciso genialmente dai due tratti accostati di rosso e di giallo, quindi, per la strada, la larga fascia diagonale, a dominante rosata con striature di blu e verde, con sporcature verticali brunastre. Il parapetto è prima marrone, poi di un grigio verdastro, quindi blu intenso e bronzo, ed infine sul piano, toccato della tenue luce dell’ultimo crepuscolo, reso con una sequenza di pennellate bianche e ciano. È una sinfonia di toni freddi, sapientemente calibrati da radi tocchi di giallo; colore caldo che prevale nel cielo, striato di rosa, rosso, azzurro e verde; e che si staglia netto sulla chioma cupa dell’albero in qualche rada foglia. La contrapposizione di zone cupe o fredde e altre calde e luminose ottiene un risultato davvero convincente, ma in ultima analisi del tutto innaturale: com’è possibile che la porzione di strada a ridosso del muretto, che dovrebbe riceverne l’ombra, sia luminosa? Perché il tronco dell’albero non proietta alcuna ombra? Perché il triangolo in basso a destra è in oscurità, quando invece dovrebbe ricevere la luce del cielo? Ed infine, come possono essere tanto luminose le foglie ben visibili in alto a destra, opposte come sono alla sorgente di luce? Non c’è che dire, in questo piccolo capolavoro Ciolina applica in pieno il principio “di non copiare tale il vero come si presenta ai nostri occhi” perché quello che conta “è che infine i quadri raggiungano l’impressione giusta”. Vi è dunque qualcosa di fantastico in questo quadro, nei giochi forzati della luce quanto nella forma schematica di quest’albero, nel suo tronco definito con un colore livido tanto diluito da lasciare trasparire la materia corposa, stesa quasi a larghe spatolate, del paesaggio su cui si staglia come una presenza simbolica. Man mano però che da terra sale verso la cupa, imponente chioma, il colore si fa più denso, più materico: e così sono i suoi rami, costruiti prima del magico cielo iridescente che, per contrasto, diviene se possibile ancor più fantasmagorico e rutilante.

Inquadratura simile e analogo soggetto, un albero che si staglia sul paesaggio, caratterizzano Alba in Valle Vigezzo; tuttavia i due lavori non potrebbero essere più antipodici. Non solo e non tanto perché qui sono le prime luci del giorno ad essere rappresentate (momento della giornata non così frequente nell’opera di Ciolina) e non il crepuscolo, quanto soprattutto per la tecnica pittorica impiegata. Le pennellate infatti sono minute e trattenute, come ed anche più che in Toceno al tramonto (tappa 4), da cui non è cronologicamente lontano, anche se, rispetto a quel lavoro qui il maestro sembra osare assai meno con il colore, mantenendo una tavolozza canonica e assai aderente alla realtà. Il grande castagno è indubbiamente naturalistico nell’articolarsi dei rami, nella definizione della rada chioma, gravido di un’autorità patriarcale che conferisce alla scena una serena pace, ben lontana dalla tensione emotiva di Crepuscolo. Stupefacente è la scelta cromatica con cui Ciolina riesce a restituire la condizione della prima luce dell’alba, quando i toni sono ancora smorzati, i colori sono ancora offuscati dalle brume della notte e s’avviano a liberarsi dal loro sentore grigiastro. V’è nella materia pittorica minuta di questo quadro una parentela con i lavori ‘divisionisti’ che indurrebbe a ritenerlo anteriore a Crepuscolo.

 

Ricerca e adattamento testi e immagini a cura di Chiara Besana. 
Approfondimento critico a cura di Paolo Volorio.

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